La World Check è la più grande banca dati del mondo, contenente informazioni confidenziali di più di 2 milioni di persone (fisiche e giuridiche).
Nata agli albori dei primi anni 2000, a seguito degli attentati terroristici dell’11/9/2001 si trasforma in strumento di risk intelligence, usato soprattutto dalle banche per prevenire rischi finanziari su movimenti di denaro legati al terrorismo islamico.
Nel corso degli anni la banca dati World Check, nel frattempo acquistata nel 2011 da Thomas Reuters, società leader nell’informazione finanziaria e risk management, è divenuto il principale fornitore di due diligencei in termini di KYC (Know Your Customer) e PEP (Politically Exposed Persons), riguardo a individui ed entità a elevato rischio finanziario.
Banche ed istituti finanziari creditizi e assicurativi, oltre a servizi governativi e di intelligence, utilizzano la schedatura e il database di World Check per attingere informazioni sulle persone non solo per vagliare la solvibilità finanziaria delle stesse o la fattibilità della concessione di mutui o finanziamenti, ma altresì elaborano le informazioni per comprendere se tali soggetti siano legati a dinamiche relative a terrorismo, narcotraffico, riciclaggio di denaro, traffico di armi e di esseri umani.
Le informazioni contenute nel database World Check, dunque, costituiscono la base per calcolare il rischio nelle relazioni commerciali ed imprenditoriali, calcolo che parte dal dato meramente finanziario per sconfinare poi in un vero e proprio report globale sul soggetto richiedente.
In buona sostanza, dietro pagamento di un compenso, World Check predispone una serie di dossier reputazionali da consegnare ai soggetti richiedenti, ovvero ad agenzie private e governative, servizi di intelligence, banche ed istituti finanziari.
Si tratta di una schedatura di massa: è legale?
Quanto al funzionamento del database di World Check, esso è piuttosto semplice: il sistema attinge dati e notizie legati ad un eventuale rischio finanziario da diverse fonti, su persone fisiche e giuridiche, e successivamente classifica i soggetti per profili, in base alla categoria di reato associato, e inserisce i profili nelle liste.
Tale strumento risulta essere virtuoso se utilizzato in termini di compliance e se utilizzato nell’ambito di ciò che la legge consente, in quanto mirante a prevenire i rischi soprattutto per chi si occupa, quotidianamente, di relazioni commerciali.
Il vero problema, semmai, risiede nell’uso distorto di tale piattaforma, soprattutto con riferimento all’attività di raccolta e trattamento dei dati, oltre alle fonti che, in alcuni casi, risultano essere tutt’altro che autorevoli.
I dati vengono estrapolati da oltre 100.000 fonti pubbliche e vengono inseriti nel database centrale, successivamente vengono analizzati e catalogati i cosiddetti “dati di pubblico dominio”, vale a dire informazioni personali disponibili al pubblico, in genere le informazioni presenti Internet.
Le “fonti” da cui World Check attinge i dati risultano essere le seguenti:
- autorità giudiziarie,
- dipartimenti di pubblica sicurezza,
- siti web politici (parlamentari, governativi locali o di singoli politici),
- media e pubblicazioni affidabili,
- fonti di informazione rese pubbliche dalla persona stessa (sito web, blog o social media).
Una volta che la banca dati entra in possesso delle informazioni attraverso le fonti sopra elencate, si viene a creare una vera e propria “anagrafica”, una scheda personale o aziendale, presente in database, che contiene numerosissimi dati, al cui interno è possibile rinvenire le seguenti voci: categoria, sottocategoria, data di creazione, numero di previdenza sociale, nome, cognome, alias, appellativi, alias alternativi, data di nascita, certificato di decesso, ulteriori informazioni, passaporto, carta d’identità, numeri di società, riferimenti di fonte, cittadinanza.
Ad ogni categoria, pertanto, corrisponde una lista World Check, le quali contengono un elenco di nomi e sigle di persone o di entità che vengono schedati dopo un’attenta verifica.
Appare evidente, dunque, come l’inserimento nel database World Check avvenga in maniera del tutto indiscriminata, posto che chi entra a far parte della lista non riceve alcuna comunicazione a riguardo, con la conseguenza che l’ignaro “schedato” potrebbe non venire mai a conoscenza di far parte della lista di riferimento e che i suoi dati personali (ivi compresi quelli bancari e giudiziari) vengono segretamente trattati da soggetti terzi senza il consenso del diretto interessato ed a fini di lucro.
Di palmare evidenza, dunque, risulta essere il contrasto di tale modus operandi con le prescrizioni normative in tema di privacy, fra le quali si ricorda il GDPR (soprattutto con riferimento alla liceità di trattamento dei dati di cui all’art. 6) ed il nuovo codice della privacy, peraltro modificato alla luce della citata normativa europea.
Se, prima dell’entrata in vigore del regolamento europeo sulla privacy, l’attività di raccolta, trattamento e conservazione dei dati poteva considerarsi lecita qualora questa fosse avvenuta al di fuori del territorio nazionale, e dunque si faceva leva sulla diversità di legislazioni per poter eludere gli obblighi previsti dalle normative nazionali, oggi lo scenario, a seguito dell’uniformazione della legislazione europea in tema di trattamento dei dati, è completamente mutato.
Come già accennato, oggi la raccolta, la conservazione e l’utilizzazione dei dati devono avvenire rispettando le prescrizioni del GDPR (regolamento UE 2016/679) , soprattutto con riferimento ai dati per il cui trattamento è necessario il consenso dell’interessato.
Come cancellarsi da World Check
Alla luce delle considerazioni esposte, dunque, l’attività di schedatura di massa di World Check, sembrerebbe essere attuata in spregio alla normativa europea sul trattamento dei dati.
La tematica, inoltre, si amplifica e diventa ancor più complessa tenendo conto del fenomeno della Brexit (posto che la società controllante la World Check ha sede nel territorio britannico) che non può non avere delle forti ripercussioni anche in materia di trattamento dei dati e di liceità della schedatura di massa.
Problema collaterale al trattamento dei dati, risulta essere la bontà delle fonti da cui World Check attinge: se sulla affidabilità di alcune di esse non v’è ragione di dubitare, altre sono liberamente rintracciabili in rete, tant’è che la maggior parte delle informazioni vengono reperite da internet.
Va da sé che le informazioni presenti sul web presentano un incontrovertibile carattere di genericità, visto anche che le stesse sono riportate su siti internet e non sono aggiornate allo step successivo.
A titolo esemplificativo, si pensi ad un articolo di giornale che riporta la notizia riguardante il rinvio giudizio di un soggetto: tale news rappresenta la base per l’inserimento nella schedatura di massa e per la creazione di un apposito dossier reputazionale. Si pensi, però, all’ipotesi in cui tale soggetto, successivamente, venga assolto con formula piena: ebbene, le precedenti informazioni riguardanti il rinvio a giudizio comunque rimangono nel web e, di conseguenza, sul dossier riguardante quel determinato soggetto, con tutte le conseguenze derivanti da siffatta pratica.
Appare evidente, quindi, l’interesse delle persone a veder cancellare il proprio nominativo dalla lista, non solo perché la presenza del proprio nominativo nella lista potrebbe costituire elemento ostativo alla concessione di mutui/finanziamenti o, addirittura, motivo per la chiusura di conti correnti bancari, ma anche perché, banalmente, le persone hanno interesse a mantenere il riserbo più rigoroso rispetto alle proprie informazioni.
In ossequio all’ art. 17 GDPR, disciplinante il diritto all’oblio, è possibile cancellarsi dalla World Check dapprima verificando se il proprio nominativo è inserito nella lista attraverso un’interrogazione della banca dati in relazione al proprio nome e cognome (attività che peraltro può svolgere anche un avvocato munito di procura speciale) e, in caso di riscontro positivo, dovrà vagliare la corrispondenza dei dati inseriti con la situazione fattuale che lo riguarda. Qualora i dati che lo riguardano non siano aggiornati od errati si procederà alla richiesta di modifica/aggiornamento degli stessi o alla richiesta di rimozione delle informazioni.
Nella prassi, tuttavia, si riscontra come, anche a seguito della richiesta di cancellazione le informazioni continuano ad essere presenti nella lista e, dunque, a disposizione degli utenti richiedenti.
Gli operatori del settore, pertanto, reputano più utile virare la propria richiesta di cancellazione alle fonti da cui World Check attinge: si tratta di un intervento “a monte” con cui si chiede la cancellazione delle notizie ai webmaster dei siti che contengono le notizie originali, il che permetterà poi “a valle” di non permettere a World Check di poter attingere da fonti che non sono più presenti sul web.
Si auspica, ad ogni modo, un intervento deciso delle Autorità competenti volto a rendere quanto più trasparente possibile il procedimento di inserimento e di trattamento dei dati all’interno della World Check, soprattutto rendendo edotti gli interessati del trattamento di propri dati personali e permettendo agli stessi di potersi cancellare, agevolmente, dalla schedatura di massa.